Spesso Mario Bertoncini è stato definito un mago che incanta il pubblico intervenuto ad ascoltare i suoi concerti. É anche noto come costruttore che con impressionante ricchezza di trovate cerca nuove soluzioni per l’attuazione delle proprie idee musicali; pochi intimi conoscono tuttavia l’esistenza della sua produzione letteraria.
“Arpe eolie ed altre cose inutili” non è che una piccola parte d’una vasta raccolta di scritti redatti in Italiano ed in Inglese, nella quale dal 1976 Bertoncini ha cominciato ad annotare le proprie considerazioni sulla musica. Ultimata – almeno in questa prima fase – da poche settimane, essa attende una traduzione ed una pubblicazione. Tale libro potenziale allinea, sotto il titolo Ragionamenti musicali in forma di dialogo, otto dialoghi:
Quasi una prefazione (1998)
Dialogo primo Intervista con Raymond Gervais (1976)
Dialogo secondo Note per un Teatro della Realtà (1981)
Dialogo terzo In rotta verso il duemila (1988-’89)
Giornata prima: Una strega
Giornata seconda: Un selvaggio
Giornata terza: Il successo
Dialogo quarto Una sera di luglio nei giardini di Accademo (1995)
Dialogo quinto Sette giorni al centro della Terra (1996)
Dialogo sesto Dell’Imitazione (1998-2003)
Dialogo settimo Arpe eolie ed altre cose inutili (1999-2000)
Dialogo ottavo Il sogno della complicazione ovvero la complicazione del sogno (2000)
I testi di Bertoncini non vogliono avere il valore di saggi la cui legittimità sia da ricercare esclusivamente nella maggiore o minore cura secondo la quale una tesi viene esaurientemente trattata. L’adozione per essi d’una forma dialogica libera si rifà ad una tradizione tuttora viva nel mondo culturale greco-latino, quella della conversazione dialettica estetico-filosofica che simula una discussione secondo il modello dei dialoghi platonici. (Ricordiamo almeno Luciano e Cicerone tra gli antichi, Pietro Bembo e Galileo per il Rinascimento, Giacomo Leopardi per l’epoca romantica e Cesare Pavese per il secolo ventesimo.)
A Bertoncini sono sufficienti una citazione in capo alla pagina e concise notizie sul luogo delle conversazioni, sia esso un giardino oppure uno studio di registrazione in TV, per delineare un dialogo in una cornice adeguata. Talvolta si aggiungono personaggi anonimi ai protagonisti Menippo e Bremonte, tipi caratteriali piuttosto che caratteri individualmente definiti: l’amatore, il dilettante di musica, il musicologo, l’animatore televisivo, il testimonio, cosí che il cerchio dei partecipanti al dibattito si allarga. Per lo più l’incontro avviene però tra i due principali personaggi. Par di vederli discutere camminando, le mani congiunte dietro la schiena, questi peripatetici, con improvvise fermate ed un vivo gesticolare e alcuna volta, a seconda dello svolgimento della discussione, con uno scambio di sguardi divertiti o indignati.
I loro pseudonimi non sono scelti a caso: Menippo porta il nome di un filosofo cinico nato a Gàdara, in Siria, nel terzo secolo avanti Cristo. Le satire del filosofo siriano sono perdute ma nei dialoghi di Luciano (vissuto dal 120 al 180 dell’èra cristiana), il suo spirito mordace rivolto contro i filosofi dell’età classica rivive e giunge fino a noi. Nell’Icaromenippo o il viaggio nel cielo, Menippo vola sulla luna per mezzo di ali d’uccello e, al ritorno, racconta ad un amico la propria avventura. Nel Dialogo dei morti Menippo visita da vivo il regno dei morti e incontra i grandi della Terra, i re e i filosofi universalmente celebrati, e si fa gioco delle loro teste scarnificate e della loro vanità. Nella letteratura latina il genere della “satira menippèa” porta il suo nome. Bremonte, al contrario, é un nome di fantasia e non ha precedenti storici ma deriva dal greco βρεμο, fremo, (il cane che freme), e descrive una sovraeccitazione che può di momento in momento degenerare in indignata aggressione.
Bertoncini ha dotato i suoi personaggi non soltanto di nomi significanti ma anche di ben definiti tratti del carattere, dai quali essi soltanto raramente emergono quali individui. Nelle iniziali M e B non è difficile riconoscere quelle del nome dell’autore – i due personaggi rappresentano dialetticamente le opinioni spesso contrastanti d’una stessa personalità che usa il dialogo per organizzarne formalmente il peso e la reciproca possibile verifica delle opinioni in esso espresse. Menippo è qui il Maestro cui gli anni hanno recato un esperiente “distacco dalle passioni”; egli ha da tempo dimesso illusioni ed ideali – soltanto apparentemente, però, dato che sotto la dura scorza del cinico, del “caratteraccio”, si nasconde malamente una benevola disposizione. Per chi come lui sia nato in Italia tra il 1920 e il 1925 (circa dieci anni prima dell’autore, dunque), è anche Menippo talvolta portato a scivolare nell’estetica idealista di Benedetto Croce, che lo accomuna suo malgrado con i coetanei.
Bremonte sostiene il ruolo dell’allievo laborioso, avido di sapere, che dà molto valore all’esattezza storica; egli, pur essendo in possesso di una mente vivida e brillante, è talmente poco propenso allo scherzo e al motteggio da adontarsene, divenendo di colpo, all’occasione, aggressivo e mordace. L’atteggiamento di Bremonte verso Menippo si muove costantemente attraverso tre stadi, tre sfumature di vicinanza e di allontanamento, che si riflettono nel modo di rivolgersi al collega più vecchio: deferenza e rispetto, con l’uso del titolo reverenziale, “Maestro”; difesa contro eventuali critiche, col nudo nome, Menippo; e finalmente, aspro rimprovero con il colloquiale e aggressivo “amico mio”.
Per la loro mobilità emozionale tali dialoghi potrebbero egregiamente essere trasportati sulla scena o in uno studio radiofonico o televisivo. Soltanto in quegli ambienti essi rivelerebbero appieno l’icastica ironia intesa da Bertoncini quale veicolo d’una dialettica polivalente, spesso carica di allusioni e quasi immanente in un testo che otterrebbe dall’accento e dalle sfumature della voce, oltre che dalla sottintesa varietà mimica, la effettiva comunicazione delle idee in esso contenute.
Comunque sia, l’autore conserva sempre una sicura distanza dai propri personaggi. Così Menippo non esita ad adoperare il termine “avanguardia” che Bertoncini stesso invece non lascerebbe mai privo d’un beffardo commento.
L’autore non compare mai direttamente nei suoi dialoghi; tuttavia il suo lavoro è costantemente presente come tema di discussione ed egli stesso viene di tanto in tanto citato: come anonimo amico di Bremonte, come un certo “X”, o come il “Maestro delle Ombre” – colui che lavora al buio escluso dalla luce del riconoscimento ufficiale, così come quell’anonimo pittore rinascimentale del quale si conoscano soltanto le opere.
I dialoghi di Bertoncini ruotano intorno ai temi cui egli s’è dedicato dal1960 circa. La sua riflessione teorica sull’ estetica dell’Informale comprende di conseguenza anche l’analisi di alcuni processi improvvisativi che egli sottopone a discussione e paragona con l’attività del Gruppo “Nuova Consonanza” e con alcuni procedimenti riscontrabili nella musica di Giacinto Scelsi, compositore del quale egli fu amico. Tale riflessione tocca il problema della definizione dei propri “oggetti sonori” eolici e dimostra l’inedita teoria secondo la quale lo svolgimento nel tempo quale categoria formale è in essi totalmente escluso. Bertoncini espone inoltre la teoria che egli definisce “Teatro della Realtà”, ovvero l’esigenza di legare funzionalmente sulla scena suono, movimento coreografico, luce ed azione, in un insieme coerente alla cui realizzazione egli ha dedicato un sistema da lui brevettato col nome di “Choreophon”; un sistema che può essere considerato un’anticipazione della odierna “motion tracking”.
C’è da augurare a Bertoncini che i suoi scritti riescano presto ad interessare più dei “venticinque lettori” cui egli si rivolge. Va da sé che anche questa sia una delle sue dotte allusioni giocose da lui espressa con sguardo serio e, al tempo stesso, con un sorriso menippeo .